Iqbal Masih aveva solo 13 anni quando venne ucciso. La sua colpa, aver acceso un faro contro lo sfruttamento del lavoro minorile nelle fabbriche di tappeti clandestine in Pakistan.
Lui stesso ne era vittima. Infatti fu venduto, a soli 4 anni, dal padre ad un venditore di tappeti per pagare un debito di 12 dollari. Incatenato al telaio, lavorava con le sue piccole e abili mani per 13 ore al giorno.
Era rimasto incatenato al telaio fino ai dieci anni, fin quando incontrò Ehsan Ullah Khan, sindacalista impegnato nella liberazione dal lavoro forzato in Pakistan, che lo prese con sè. Il piccolo Iqbal si battè non solo per la sua liberazione ma anche per quella di tutti i suoi piccoli colleghi di sfruttamento e divenne così un punto di riferimento per i sei milioni di bambini pakistani soggiogati al lavoro minorile.
“Non ho paura del mio padrone; ora è lui ad aver paura di me”
era il suo sprone agli altri bambini sfruttati.
Le sue denunce e la sua testimonianza diretta costrinse le autorità pachistane a chiudere numerose fabbriche di tappeti.
E così, grazie al suo impegno 3000 piccoli schiavi vengono liberati. Ma la mafia dei fabbricanti di tappeti per questo motivo lo fa uccidere. Era il 16 Aprile 1995.
Ucciso a 13 anni per le sue idee e il suo coraggio rivoluzionario. Aveva ragione: faceva paura.
Ma il suo insegnamento di ribellione davanti ad un sopruso è arrivato a noi. Dunque vive. E andrebbe condiviso ovunque.